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Teo81

Teo81

Skoganvarre la lascio dietro come ci si lascia dietro un affetto. Non è stato facile. Non che me ne freghi molto di quel paesino Norvegese qualunque, è che provo come un senso di abbandono. Per questo forse ho smesso di scrivere. Tutto sta per finire, come ogni cosa infondo a questo mondo. Non vedo perché la mia storia faccia differenza. Non cerco pubblicità per queste pagine. Questo racconto è quasi clandestino, mi piace per questo. Se un giorno si cancellasse , amen.. moriremo tutti prima o poi. Rimaniamo vivi solo nel ricordo, spero queste mie righe vi restino affinché troviate lo spunto per fare la vostra NC, o qualcosa di simile. Quando alcuni di voi, troveranno il coraggio di sfidare il proprio “mostro”. Magari chissà, prendendo spunto anche da questa storia, tratta da un ciclista qualunque quale io sono. “La bianca balena” mi osserva al largo di Magerøya.. attende il mio passaggio. Mi accorgo di essere ad un passo dalla meta, dalla mia piccola gloria eterna.. dall’altra, il ritorno alla vita banale che da qualche periodo stavo conducendo, la stessa che iniziava a starmi sempre più stretta. Son sempre stato un tipo abbastanza tosto, una testa di cazzo bella calda. Tutto si può dire della mia vita, fuorché passarla come ordinaria.. tranne gli ultimi anni, forse mi stavo rincoglionendo. Oramai sono vecchio e stanco per certe cazzate, i pruriti di gioventù son belli che passati da tempo.. e fidatevi se vi dico che li ho “grattati” tutti o quasi. Sapete, quando il giro di amici smette di presidiare la piazza, quando vai al supermercato e ti danno del “Lei”, quando metà di quelli che facevano parte della tua compagnia sono sotto terra, gli altri al gabbio o sposati beh.. inizi a vivere di ricordi. Inizi a “fermarti” mentre il resto ti scorre addosso. A te la scelta se rimanere fermo, o se accettare una nuova sfida. A 37 anni per me la NC rappresentava questo: “Il mio modo per sentirmi ancora vivo”. E lo son stato, oh se lo son stato.. Vi scrivo adesso che ho una boccia di moscato in corpo, affinché faccia da tramite per ciò che vorrei dirvi. Sono oramai a casa da 3 lunghissime settimane. Quel “lasciare Skoganvarre” alle spalle, rappresentava da una parte andare a prendermi la mia personale vittoria, dall’altra tornare a breve in quel contesto di vita “in scatola” passata tra polaroid sempre più sbiadite. Stavo riscrivendo una nuova storia, un qualcosa di mio e solo mio.. e adesso dopo 32 giorni, mancano solo 2 tappe. Pedalo, è una giornata di sole, non pianifico nulla.. sali scendi, alcuni strappetti. Non sono di certo Pantani, ma abitando nel bel mezzo delle Dolomiti queste salite lasciano il tempo che trovano. Colli, colline e nulla più. Sono le 11.00 di mattina,  il meteo dice “male” da metà pomeriggio fino alla mattina seguente. “Male” da queste parti, equivale ad un “molto male” da noi. L’idea della nottata in tenda sfuma, cerco un posto sull’ultimo lembo di costa percorribile verso nord ,  180 km da dove mi trovo e poi la terra finisce.. se volessi proseguire per arrivare a Magerøya (che è un isola) , mi aspetterebbe un tunnel di quasi 7km che passa 200 e passa metri sotto il livello del mare. Una discesa nell’abisso.. l’entrotetra finisce, così l’effetto collinare. Ora un vento forte dall’odore marino, mi appiccica la faccia di salsedine e si diverte a giocare con me, buttandomi da una parte all’altra della carreggiata come fossi di pezza. Ho la bocca aperta dallo stupore nonostante il vento.. mai in vita mia ho visto una natura così selvaggia. Questi fiordi sono di una bellezza rara e allo stesso tempo di una potenza impressionante. Muraglioni di lastre di pietra scura frantumate come vetro si estendono come una barriera antica e impenetrabile  alla mia sinistra. Come a proteggere le estese colline che seguono, cosparse di muschio verdissimo dove le renne pascolano libere in gruppi numerosi. “Così non sono solo in Lapponia” mi dico.. era da un po’ che non le vedevo. La strada davanti a me è un biliardo, alla mia destra beh.. tutta la potenza del mare del nord, selvaggio, puro, freddo, vivo e scuro. Brulicante di qualsiasi creatura marina, compresa lei, la mia “Mobydick”. Il mio mostro immaginario. Colei che ho sfidato per tutti questi fottuti giorni. Tra poco su Magerøya ci sarà la resa dei conti, lo scontro finale con le mie paure più recondite , la mia gioia, il mio dolore, il perché infondo ho lasciato l’Italia più di un mese or sono. (Continua.. domani lo correggo, oggi sto ubriaco)

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Skoganvarre la lascio dietro come ci si lascia dietro un affetto. Non è stato facile. Non che me ne freghi molto di quel paesino Norvegese qualunque, è che provo come un senso di abbandono. Per questo forse ho smesso di scrivere. Tutto sta per finire, come ogni cosa infondo a questo mondo. Non vedo perché la mia storia faccia differenza. Non cerco pubblicità per queste pagine. Questo racconto è quasi clandestino, mi piace per questo. Se un giorno si cancellasse , amen.. moriremo tutti prima o poi. Rimaniamo vivi solo nel ricordo, spero queste mie righe vi restino affinché troviate lo spunto per fare la vostra NC, o qualcosa di simile. Quando alcuni di voi, troveranno il coraggio di sfidare il proprio “mostro”. Magari chissà, prendendo spunto anche da questa storia, tratta da un ciclista qualunque quale io sono. “La bianca balena” mi osserva al largo di Magerøya.. attende il mio passaggio. Mi accorgo di essere ad un passo dalla meta, dalla mia piccola gloria eterna.. dall’altra, il ritorno alla vita banale che da qualche periodo stavo conducendo, la stessa che iniziava a starmi sempre più stretta. Son sempre stato un tipo abbastanza tosto, una testa di cazzo bella calda. Tutto si può dire della mia vita, fuorché passarla come ordinaria.. tranne gli ultimi anni, forse mi stavo rincoglionendo. Oramai sono vecchio e stanco per certe cazzate, i pruriti di gioventù son belli che passati da tempo.. e fidatevi se vi dico che li ho “grattati” tutti o quasi. Sapete, quando il giro di amici smette di presidiare la piazza, quando vai al supermercato e ti danno del “Lei”, quando metà di quelli che facevano parte della tua compagnia sono sotto terra, gli altri al gabbio o sposati beh.. inizi a vivere di ricordi. Inizi a “fermarti” mentre il resto ti scorre addosso. A te la scelta se rimanere fermo, o se accettare una nuova sfida. A 37 anni per me la NC rappresentava questo: “Il mio modo per sentirmi ancora vivo”. E lo son stato, oh se lo son stato.. Vi scrivo adesso che ho una boccia di moscato in corpo, affinché faccia da tramite per ciò che vorrei dirvi. Sono oramai a casa da 3 lunghissime settimane. Quel “lasciare Skoganvarre” alle spalle, rappresentava da una parte andare a prendermi la mia personale vittoria, dall’altra tornare a breve in quel contesto di vita “in scatola” passata tra polaroid sempre più sbiadite. Stavo riscrivendo una nuova storia, un qualcosa di mio e solo mio.. e adesso dopo 32 giorni, mancano solo 2 tappe. Pedalo, è una giornata di sole, non pianifico nulla.. sali scendi, alcuni strappetti. Non sono di certo Pantani, ma abitando nel bel mezzo delle Dolomiti queste salite lasciano il tempo che trovano. Colli, colline e nulla più. Sono le 11.00 di mattina,  il meteo dice “male” da metà pomeriggio fino alla mattina seguente. “Male” da queste parti, equivale ad un “molto male” da noi. L’idea della nottata in tenda sfuma, cerco un posto sull’ultimo lembo di costa percorribile verso nord ,  180 km da dove mi trovo e poi la terra finisce.. se volessi proseguire per arrivare a Magerøya (che è un isola) , mi aspetterebbe un tunnel di quasi 7km che passa 200 e passa metri sotto il livello del mare. Una discesa nell’abisso.. l’entrotetra finisce, così l’effetto collinare. Ora un vento forte dall’odore marino, mi appiccica la faccia di salsedine e si diverte a giocare con me, buttandomi da una parte all’altra della carreggiata come fossi di pezza. Ho la bocca aperta dallo stupore nonostante il vento.. mai in vita mia ho visto una natura così selvaggia. Questi fiordi sono di una bellezza rara e allo stesso tempo di una potenza impressionante. Muraglioni di lastre di pietra scura frantumate come vetro si estendono come una barriera antica e impenetrabile  alla mia sinistra. Come a proteggere le estese colline che seguono, cosparse di muschio verdissimo dove le renne pascolano libere in gruppi numerosi. “Così non sono solo in Lapponia” mi dico.. era da un po’ che non le vedevo. La strada davanti a me è un biliardo, alla mia destra beh.. tutta la potenza del mare del nord, selvaggio, puro, freddo, vivo e scuro. Brulicante di qualsiasi creatura marina, compresa lei, la mia “Mobydick”. Il mio mostro immaginario. Colei che ho sfidato per tutti questi fottuti giorni. Tra poco su Magerøya ci sarà la resa dei conti, lo scontro finale con le mie paure più recondite , la mia gioia, il mio dolore, il perché infondo ho lasciato l’Italia più di un mese or sono. (Continua.. domani lo correggo, oggi sto ubriaco)

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Skoganvarre la lascio dietro come ci si lascia dietro un affetto. Non è stato facile. Non che me ne freghi molto di quel paesino Norvegese qualunque, è che provo come un senso di abbandono. Per questo forse ho smesso di scrivere. Tutto sta per finire, come ogni cosa infondo a questo mondo. Non vedo perché la mia storia faccia differenza. Non cerco pubblicità per queste pagine. Questo racconto è quasi clandestino, mi piace per questo. Se un giorno si cancellasse , amen.. moriremo tutti prima o poi. Rimaniamo vivi solo nel ricordo, spero queste mie righe vi restino affinché troviate lo spunto per fare la vostra NC, o qualcosa di simile. Quando alcuni di voi, troveranno il coraggio di sfidare il proprio “mostro”. Magari chissà, prendendo spunto anche da questa storia, tratta da un ciclista qualunque quale io sono. “La bianca balena” mi osserva al largo di Magerøya.. attende il mio passaggio. Mi accorgo di essere ad un passo dalla meta, dalla mia piccola gloria eterna.. dall’altra, il ritorno alla vita banale che da qualche periodo stavo conducendo, la stessa che iniziava a starmi sempre più stretta. Son sempre stato un tipo abbastanza tosto, una testa di cazzo bella calda. Tutto si può dire della mia vita, fuorché passarla come ordinaria.. tranne gli ultimi anni, forse mi stavo rincoglionendo. Oramai sono vecchio e stanco per certe cazzate, i pruriti di gioventù son belli che passati da tempo.. e fidatevi se vi dico che li ho “grattati” tutti o quasi. Sapete, quando il giro di amici smette di presidiare la piazza, quando vai al supermercato e ti danno del “Lei”, quando metà di quelli che facevano parte della tua compagnia sono sotto terra, gli altri al gabbio o sposati beh.. inizi a vivere di ricordi. Inizi a “fermarti” mentre il resto ti scorre addosso. A te la scelta se rimanere fermo, o se accettare una nuova sfida. A 37 anni per me la NC rappresentava questo: “Il mio modo per sentirmi ancora vivo”. E lo son stato, oh se lo son stato.. Vi scrivo adesso che ho una boccia di moscato in corpo, affinché faccia da tramite per ciò che vorrei dirvi. Sono oramai a casa da 3 lunghissime settimane. Quel “lasciare Skoganvarre” alle spalle, rappresentava da una parte andare a prendermi la mia personale vittoria, dall’altra tornare a breve in quel contesto di vita “in scatola” passata tra polaroid sempre più sbiadite. Stavo riscrivendo una nuova storia, un qualcosa di mio e solo mio.. e adesso dopo 32 giorni, mancano solo 2 tappe. Pedalo, è una giornata di sole, non pianifico nulla.. sali scendi, alcuni strappetti. Non sono di certo Pantani, ma abitando nel bel mezzo delle Dolomiti queste salite lasciano il tempo che trovano. Colli, colline e nulla più. Sono le 11.00 di mattina,  il meteo dice “male” da metà pomeriggio fino alla mattina seguente. “Male” da queste parti, equivale ad un “molto male” da noi. L’idea della nottata in tenda sfuma, cerco un posto sull’ultimo lembo di costa percorribile verso nord ,  180 km da dove mi trovo e poi la terra finisce.. se volessi proseguire per arrivare a Magerøya (che è un isola) , mi aspetterebbe un tunnel di quasi 7km che passa 200 e passa metri sotto il livello del mare. Una discesa nell’abisso.. l’entrotetra finisce, così l’effetto collinare. Ora un vento forte dall’odore marino, mi appiccica la faccia di salsedine e si diverte a giocare con me, buttandomi da una parte all’altra della carreggiata. Ho la bocca aperta dallo stupore nonostante il vento.. mai in vita mia ho visto una natura così selvaggia. Questi fiordi sono di una bellezza rara e allo stesso tempo di una potenza impressionante. Muraglioni di lastre di pietra scura frantumate come vetro si estendono come una barriera antica e impenetrabile  alla mia sinistra. Come a proteggere le estese colline che seguono, cosparse di muschio verdissimo dove le renne pascolano libere in gruppi numerosi. “Così non sono solo in Lapponia” mi dico.. era da un po’ che non le vedevo. La strada davanti a me è un biliardo, alla mia destra beh.. tutta la potenza del mare del nord, selvaggio, puro, freddo, vivo e scuro. Brulicante di qualsiasi creatura marina, compresa lei, la mia “Mobydick”. Il mio mostro immaginario. Colei che ho sfidato per tutti questi fottuti giorni. Tra poco su Magerøya ci sarà la resa dei conti, lo scontro finale con le mie paure più recondite , la mia gioia, il mio dolore, il perché infondo ho lasciato l’Italia più di un mese or sono. (Continua.. domani lo correggo, oggi sto ubriaco)

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Skoganvarre la lascio dietro come ci si lascia dietro un affetto. Non è stato facile. Non che me ne freghi molto di quel paesino Norvegese qualunque, è che provo come un senso di abbandono. Per questo forse ho smesso di scrivere. Tutto sta per finire, come ogni cosa infondo a questo mondo. Non vedo perché la mia storia faccia qualche differenza. Per questo non cerco pubblicità per queste pagine. Questo racconto è quasi clandestino, mi piace per questo. Se un giorno si cancellerà, doveva andare così. Moriremo tutti poi. Rimaniamo vivi solo nel ricordo, spero queste mie righe vi restino affinché troviate lo spunto per fare la vostra NC, o qualcosa di simile. Quando chiunque di voi, troverà il coraggio di sfidare  il proprio “mostro”. “La bianca balena” mi osserva al largo di Magerøya.. attende il mio passaggio. Mi accorgo di essere ad un passo dalla meta, dalla mia piccola gloria eterna.. dall’altra, il ritorno alla vita banale che da qualche periodo stavo conducendo, la stessa che iniziava a starmi sempre più stretta. Son sempre stato un tipo abbastanza tosto, una testa di cazzo calda. Tutto si può dire della mia vita, fuorché passarla come ordinaria.. tranne gli ultimi anni, forse mi stavo rincoglionendo. Oramai sono vecchio e stanco per certe cazzate, i pruriti di gioventù son belli che passati da tempo.. e fidatevi se vi dico che li ho “grattati” tutti o quasi. Sapete, quando il giro di amici smette di presidiare la piazza, quando vai al supermercato e ti danno del “Lei”, quando metà di quelli che facevano parte della tua compagnia sono sotto terra, gli altri al gabbio o sposati beh.. inizi a vivere di ricordi. Inizi a “fermarti” mentre il resto ti scorre addosso. A te la scelta se rimanere indietro, o se accettare una nuova sfida. A 37 anni per me la NC rappresentava questo: “Il mio modo per sentirmi ancora vivo”. E lo son stato, oh se lo son stato.. Vi scrivo adesso che ho una boccia di moscato in corpo, affinché faccia da tramite per ciò che vorrei dirvi. Sono oramai a casa da 3 lunghissime settimane. Quel “lasciare Skoganvarre” alle spalle, rappresentava da una parte andare a prendermi la mia personale vittoria, dall’altra tornare a breve in quel contesto di vita “in scatola” passata tra polaroid sempre più sbiadite. Stavo riscrivendo una nuova storia, un qualcosa di mio e solo mio.. e adesso dopo 32 giorni, mancano solo 2 tappe. Pedalo, è una giornata di sole, non pianifico nulla.. sali scendi, alcuni strappetti. Non sono di certo Pantani, ma abitando nel bel mezzo delle Dolomiti queste salite lasciano il tempo che trovano. Colli, colline e nulla più. Sono le 11.00 di mattina,  il meteo dice “male” da metà pomeriggio fino alla mattina seguente. “Male” da queste parti, equivale ad un “molto male” da noi. L’idea della nottata in tenda sfuma, cerco un posto sull’ultimo lembo di costa percorribile verso nord ,  180 km da dove mi trovo e poi la terra finisce.. se volessi proseguire per arrivare a Magerøya (che è un isola) , mi aspetterebbe un tunnel di quasi 7km che passa 200 e passa metri sotto il livello del mare. Una discesa nell’abisso.. l’entrotetra finisce, così l’effetto collinare. Ora un vento forte dall’odore marino, mi appiccica la faccia di salsedine e si diverte a giocare con me buttandomi da una parte all’altra della carreggiata. Ho la bocca aperta nonostante il vento.. mai in vita mia ho visto una natura così selvaggia. Questi fiordi sono di una bellezza rara e allo stesso tempo di una potenza impressionante. Muraglioni di lastre di pietra scura frantumate come vetro si estendono come una barriera antica e impenetrabile  alla mia sinistra. Come a proteggere le estese colline che seguono, cosparse di muschio verdissimo dove le renne pascolano libere in gruppi numerosi. “Così non sono solo in Lapponia” mi dico.. era da un po’ che non le vedevo. La strada davanti a me è un biliardo, alla mia destra beh.. tutta la potenza del mare del nord, selvaggio, puro, freddo, vivo e scuro. Brulicante di qualsiasi creatura marina, compresa lei, la mia “Mobydick”. Il mio mostro immaginario. Colei che ho sfidato per tutti questi fottuti giorni. Tra poco su Magerøya ci sarà la resa dei conti, lo scontro finale con le mie paure più recondite , la mia gioia, il mio dolore, il perché infondo ho lasciato l’Italia più di un mese or sono. (Continua.. domani lo correggo, oggi sto ubriaco)

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