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filosofia


oromisso
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mi trovo, preparando il caffé, a pensare al seguente problemunzio logico.

Date necessità e contingenza, vi sono almeno due tesi classiche:

a- tutto è necessario

b- vi sono sia cose necessarie che cose contingenti (gli accidenti, ma anche gli atti liberi).

La prima ipotesi domanda il passaggio dalla filosofia alla meccanica, e comunque non risolve i problemi ontologici fondamentali (cosa c'è all'inizio? da dove viene l'ordine?); la seconda ipotesi domanda un dualismo (libertà individuale/natura, per esempio) difficilmente giustificabile (se non su di un piano fideistico, religioso). 

Resta dunque, per mantenere una prospettiva concettuale, che non scivoli nè nel meccanicismo nè nella religione, una terza ipotesi: vi è solo contingenza. Quindi, anche le leggi (per es, fisiche), vanno trattate alla stregua di qualsiasi fenomeno: avrebbero potuto anche non esserci, potrebbero scomparire.

Se prendiamo però in considerazione l'ipotesi della sola esistenza della contingenza, a ben guardare il rapporto fra contingenza e necessità risorge, e più accrocchiato di quanto non sembri.

Se non vi è necessità, ma solo contingenza, si possono infatti formulare le due seguenti opzioni:

- o è contingente che vi sia contingenza, e quindi può esservi anche necessità,

- o, dato che non vi è altro che contingenza, vi sarà necessariamente contingenza, e quindi vi è necessità in quanto vi è necessariamente contingenza.  

 

soluzioni possibili:

- o questo dimostra che l'ipotesi dell'esistenza della sola contingenza è paradossale, che genera mostri logici. Restano quindi due altre ipotesi: o vi è solo necessità (meccanicismo), o vi sono sia necessità che contingenza (più o meno tutte le teorie che dividono fra anima e corpo) - teorie però, come visto, sotto molti aspetti insoddisfacenti

- oppure dobbiamo ammettere che la necessità esiste solo come prodotto locale (stabilizzazione) della contingenza. Resta da vedere se a questo punto la necessità ha natura finita o infinita (se è per sempre sottoposta a contingenza, o se il suo sorgere la rende (in quanto, appunto, necessità) immodificabile.

 

Che ne dite?

Mi riallaccio alla cosa più facile da commentare, ovvero la tua ultima domanda. Se la necessità avesse natura infinita, noi uomini finiti dovremmo necessariamente risalire al fideismo per spiegarne la natura, in quanto il concetto di infinito non è per noi conoscibile.

Penso di non aggiungere nulla così, è solo una mia considerazione personale.

Comunque dal mio punto di vista (e qui cerco di intervenire costruttivamente) la cosa da fuggire con ogni forza sono le ipotesi finalistiche. Tolgono, per così dire, il divertimento, ma soprattutto la libertà.

Questo potrebbe portarci ad eliminare la necessarietà dal campo d'indagine, e ragionare dunque della sola contingenza, all'interno della quale, e tramite quelli che mandi sotto il nome di atti liberi - se ho ben capito - può svilupparsi compiutamente l'individualità umana.

All'interno di ciò spiegherei poi in modo meccanicistico le leggi fisiche, e attribuirei all'intelletto, all'intelligenza, all'istinto, o - perché no - ad una volontà modello Schopenhauer gli atti liberi.

E rileggendo quello che ho scritto penso di aver semplicemente aggiunto la possibilità del meccanicismo alla filosofia di Schopenhauer.

 

condivido! - il mio tentativo era proprio quello di eliminare il ricorso al finalismo, sostituendo pero al contempo libertà con contingenza (un termine più astratto, di formulazione più logica e meno antropologica), ossia cercando di spiegare cio che va al di là del meccanicismo stretto, ma senza introdurre alcun dualismo (spirito/corpo, libertà/necessità materiale.

Detto cio, era anche in parte un gioco logico, determinato dall'insonnia e dai troppi caffé.

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Il buon umore.

"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia"

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Il buon umore.

"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia"

E dunque, chi commette l'atto estremo lo fa perché ha raggiunto questa risposta, sfuggente e inquietante chimera che è nata con la ragione umana e con essa è destinata a dissolversi, o piuttosto, frettolosamente, per paura di conoscere questa risposta?

E poniamo ora il caso di un suicida che, prima di staccarsi dalle proprie spoglie mortali, abbia conosciuto questa risposta: era essa negativa, così negativa da spingerlo a togliersi la vita?

Oppure, benché fosse essa positiva, ha egli deciso che nulla di migliore potesse l'esistenza riservargli di una tale scoperta, e fosse dunque giunto il momento opportuno per porre fine alle proprie sensazioni coscienti?

Modificato da alvuz (visualizza cornologia modifica)
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  • 2 weeks later...

Siamo tutti uguali? O dovremmo davvero iniziare a fare delle distinzioni nella società, accantonando finalmente tutti i buonismi eredità di un passato perbenista nato - comprensibilmente e forse giustificabilmente - come reazione al buio del secolo delle distinzioni e segregazioni razziali? Davvero devo sentirmi, per legge civile o morale, uguale a persone che non valgono un quarto di me, che non sono in grado di formulare un pensiero proprio, si lasciano influenzare e convincere passivamente e giungono addirittura a rinunciare all'azione per una vita apparente fatta di banalità materiali?

Persone Che nonostante la maturità presumibilmente conseguita alla loro età continuano a vivere come bambini, senza essere in grado di rendersi conto quanto difficile la vita che hanno davanti - ma allo stesso tempo quanto potesse essa essere meravigliosa, quali premi donare loro, se solo fossero in grado di viverla e di approfittare di ciò che la natura mette loro a disposizione?

Persone che con un'arroganza e un'ottusità imbarazzanti si permettono di sprecare le loro potenzialità credendosi migliori e più furbe di tanti altri?

Questo mi chiedo, e non so trovare risposta.

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Siamo tutti uguali? O dovremmo davvero iniziare a fare delle distinzioni nella società, accantonando finalmente tutti i buonismi eredità di un passato perbenista nato - comprensibilmente e forse giustificabilmente - come reazione al buio del secolo delle distinzioni e segregazioni razziali? Davvero devo sentirmi, per legge civile o morale, uguale a persone che non valgono un quarto di me, che non sono in grado di formulare un pensiero proprio, si lasciano influenzare e convincere passivamente e giungono addirittura a rinunciare all'azione per una vita apparente fatta di banalità materiali?

Persone Che nonostante la maturità presumibilmente conseguita alla loro età continuano a vivere come bambini, senza essere in grado di rendersi conto quanto difficile la vita che hanno davanti - ma allo stesso tempo quanto potesse essa essere meravigliosa, quali premi donare loro, se solo fossero in grado di viverla e di approfittare di ciò che la natura mette loro a disposizione?

Persone che con un'arroganza e un'ottusità imbarazzanti si permettono di sprecare le loro potenzialità credendosi migliori e più furbe di tanti altri?

Questo mi chiedo, e non so trovare risposta.

Piu che considerare giusto o sbagliato sentirsi uguale ad altri, e' giusto che tu esterni nei fatti questo tuo considerarti superiore? Quale azione puoi sentirti di commettere in piena ragione dato questo tuo senso di superiorita'?

Puoi sentirti di porre limiti alla liberta' degli altri a favore della tua per il tuo senso di superiorita'?

E' giusto che chiunque sia superiore a te possa fare altrettanto a tuo discredito?

Ci sara' sempre qualcuno superiore a te

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Siamo tutti uguali? O dovremmo davvero iniziare a fare delle distinzioni nella società, accantonando finalmente tutti i buonismi eredità di un passato perbenista nato - comprensibilmente e forse giustificabilmente - come reazione al buio del secolo delle distinzioni e segregazioni razziali? Davvero devo sentirmi, per legge civile o morale, uguale a persone che non valgono un quarto di me, che non sono in grado di formulare un pensiero proprio, si lasciano influenzare e convincere passivamente e giungono addirittura a rinunciare all'azione per una vita apparente fatta di banalità materiali?

Persone Che nonostante la maturità presumibilmente conseguita alla loro età continuano a vivere come bambini, senza essere in grado di rendersi conto quanto difficile la vita che hanno davanti - ma allo stesso tempo quanto potesse essa essere meravigliosa, quali premi donare loro, se solo fossero in grado di viverla e di approfittare di ciò che la natura mette loro a disposizione?

Persone che con un'arroganza e un'ottusità imbarazzanti si permettono di sprecare le loro potenzialità credendosi migliori e più furbe di tanti altri?

Questo mi chiedo, e non so trovare risposta.

Piu che considerare giusto o sbagliato sentirsi uguale ad altri, e' giusto che tu esterni nei fatti questo tuo considerarti superiore? Quale azione puoi sentirti di commettere in piena ragione dato questo tuo senso di superiorita'?

Puoi sentirti di porre limiti alla liberta' degli altri a favore della tua per il tuo senso di superiorita'?

E' giusto che chiunque sia superiore a te possa fare altrettanto a tuo discredito?

Ci sara' sempre qualcuno superiore a te

Ed è sbagliato? Voglio dire, personalmente lo vedo come uno stimolo a mettere in discussione le mie certezze e cercare di far valere le mie ragioni ricavando sempre qualcosa. Poi di sicuro c'è chi non è in grado di farlo.

Penso che il mio ragionamento porti in qualche modo all'estremo quello che molti pensano spesso, solo non vorrei essere bollato come Darwinista sociale, quella è una strada impraticabile in questo punto della storia.

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Siamo tutti uguali? O dovremmo davvero iniziare a fare delle distinzioni nella società, accantonando finalmente tutti i buonismi eredità di un passato perbenista nato - comprensibilmente e forse giustificabilmente - come reazione al buio del secolo delle distinzioni e segregazioni razziali? Davvero devo sentirmi, per legge civile o morale, uguale a persone che non valgono un quarto di me, che non sono in grado di formulare un pensiero proprio, si lasciano influenzare e convincere passivamente e giungono addirittura a rinunciare all'azione per una vita apparente fatta di banalità materiali?

Persone Che nonostante la maturità presumibilmente conseguita alla loro età continuano a vivere come bambini, senza essere in grado di rendersi conto quanto difficile la vita che hanno davanti - ma allo stesso tempo quanto potesse essa essere meravigliosa, quali premi donare loro, se solo fossero in grado di viverla e di approfittare di ciò che la natura mette loro a disposizione?

Persone che con un'arroganza e un'ottusità imbarazzanti si permettono di sprecare le loro potenzialità credendosi migliori e più furbe di tanti altri?

Questo mi chiedo, e non so trovare risposta.

Piu che considerare giusto o sbagliato sentirsi uguale ad altri, e' giusto che tu esterni nei fatti questo tuo considerarti superiore? Quale azione puoi sentirti di commettere in piena ragione dato questo tuo senso di superiorita'?

Puoi sentirti di porre limiti alla liberta' degli altri a favore della tua per il tuo senso di superiorita'?

E' giusto che chiunque sia superiore a te possa fare altrettanto a tuo discredito?

Ci sara' sempre qualcuno superiore a te Ed è sbagliato? Voglio dire, personalmente lo vedo come uno stimolo a mettere in discussione le mie certezze e cercare di far valere le mie ragioni ricavando sempre qualcosa. Poi di sicuro c'è chi non è in grado di farlo.

Penso che il mio ragionamento porti in qualche modo all'estremo quello che molti pensano spesso, solo non vorrei essere bollato come Darwinista sociale, quella è una strada impraticabile in questo punto della storia. Potrebbe essere anche giusto, la vera domanda e' che cosa faresti se l inferiore fossi tu e il superiore un altro? Lo accetteresti di buon grado? Accetteresti qualsiasi destino venga scelto per te perche' tu sei inferiore?

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Siamo tutti uguali? O dovremmo davvero iniziare a fare delle distinzioni nella società, accantonando finalmente tutti i buonismi eredità di un passato perbenista nato - comprensibilmente e forse giustificabilmente - come reazione al buio del secolo delle distinzioni e segregazioni razziali? Davvero devo sentirmi, per legge civile o morale, uguale a persone che non valgono un quarto di me, che non sono in grado di formulare un pensiero proprio, si lasciano influenzare e convincere passivamente e giungono addirittura a rinunciare all'azione per una vita apparente fatta di banalità materiali?

Persone Che nonostante la maturità presumibilmente conseguita alla loro età continuano a vivere come bambini, senza essere in grado di rendersi conto quanto difficile la vita che hanno davanti - ma allo stesso tempo quanto potesse essa essere meravigliosa, quali premi donare loro, se solo fossero in grado di viverla e di approfittare di ciò che la natura mette loro a disposizione?

Persone che con un'arroganza e un'ottusità imbarazzanti si permettono di sprecare le loro potenzialità credendosi migliori e più furbe di tanti altri?

Questo mi chiedo, e non so trovare risposta.

Piu che considerare giusto o sbagliato sentirsi uguale ad altri, e' giusto che tu esterni nei fatti questo tuo considerarti superiore? Quale azione puoi sentirti di commettere in piena ragione dato questo tuo senso di superiorita'?

Puoi sentirti di porre limiti alla liberta' degli altri a favore della tua per il tuo senso di superiorita'?

E' giusto che chiunque sia superiore a te possa fare altrettanto a tuo discredito?

Ci sara' sempre qualcuno superiore a te Ed è sbagliato? Voglio dire, personalmente lo vedo come uno stimolo a mettere in discussione le mie certezze e cercare di far valere le mie ragioni ricavando sempre qualcosa. Poi di sicuro c'è chi non è in grado di farlo.

Penso che il mio ragionamento porti in qualche modo all'estremo quello che molti pensano spesso, solo non vorrei essere bollato come Darwinista sociale, quella è una strada impraticabile in questo punto della storia. Potrebbe essere anche giusto, la vera domanda e' che cosa faresti se l inferiore fossi tu e il superiore un altro? Lo accetteresti di buon grado? Accetteresti qualsiasi destino venga scelto per te perche' tu sei inferiore?

Ora bisogna discutere su cosa sia il destino, però per come la vedo io, ovvero in un'ottica cinica,ente basata sulle capacità del singolo (di comprensione e di espressione) penso sia possibile e anzi giusto o necessario riconoscere la superiorità di un altro

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Siamo tutti uguali? O dovremmo davvero iniziare a fare delle distinzioni nella società, accantonando finalmente tutti i buonismi eredità di un passato perbenista nato - comprensibilmente e forse giustificabilmente - come reazione al buio del secolo delle distinzioni e segregazioni razziali? Davvero devo sentirmi, per legge civile o morale, uguale a persone che non valgono un quarto di me, che non sono in grado di formulare un pensiero proprio, si lasciano influenzare e convincere passivamente e giungono addirittura a rinunciare all'azione per una vita apparente fatta di banalità materiali?

Persone Che nonostante la maturità presumibilmente conseguita alla loro età continuano a vivere come bambini, senza essere in grado di rendersi conto quanto difficile la vita che hanno davanti - ma allo stesso tempo quanto potesse essa essere meravigliosa, quali premi donare loro, se solo fossero in grado di viverla e di approfittare di ciò che la natura mette loro a disposizione?

Persone che con un'arroganza e un'ottusità imbarazzanti si permettono di sprecare le loro potenzialità credendosi migliori e più furbe di tanti altri?

Questo mi chiedo, e non so trovare risposta.

Piu che considerare giusto o sbagliato sentirsi uguale ad altri, e' giusto che tu esterni nei fatti questo tuo considerarti superiore? Quale azione puoi sentirti di commettere in piena ragione dato questo tuo senso di superiorita'?

Puoi sentirti di porre limiti alla liberta' degli altri a favore della tua per il tuo senso di superiorita'?

E' giusto che chiunque sia superiore a te possa fare altrettanto a tuo discredito?

Ci sara' sempre qualcuno superiore a teEd è sbagliato? Voglio dire, personalmente lo vedo come uno stimolo a mettere in discussione le mie certezze e cercare di far valere le mie ragioni ricavando sempre qualcosa. Poi di sicuro c'è chi non è in grado di farlo.

Penso che il mio ragionamento porti in qualche modo all'estremo quello che molti pensano spesso, solo non vorrei essere bollato come Darwinista sociale, quella è una strada impraticabile in questo punto della storia.Potrebbe essere anche giusto, la vera domanda e' che cosa faresti se l inferiore fossi tu e il superiore un altro? Lo accetteresti di buon grado? Accetteresti qualsiasi destino venga scelto per te perche' tu sei inferiore? Ora bisogna discutere su cosa sia il destino, però per come la vedo io, ovvero in un'ottica cinica,ente basata sulle capacità del singolo (di comprensione e di espressione) penso sia possibile e anzi giusto o necessario riconoscere la superiorità di un altro Parli per astratto, mettiti al centro del quadro: t lasceresti sgozzare come un agnello se qualcuno decidesse che sei inferiore?

I malati di mente, gli handicappati sono inferiori a te? La t4 aveva quindi ragione di esistere?

Non stiamo parlando di darwinismo, c e tanta gente che descrivi come potenzialmente inferiore a te perche' banali, futili, attenti al superfluo, ignoranti o disinformati ma con piu' successo sociale di te.

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@indio

@alvuz

(uso la mention altrimenti i post diventano chilometrici)

 

riprendo la questione del "e se fossi tu quello inferiore?"

la prima e più ovvia risposta è "io non sono l'inferiore"; mentre la seconda risposta è "può un individuo riconoscere di essere inferiore a qualcosa che gli è superiore? può il suo sguardo abbracciare qualcosa di più grande di sé? oppure può abbracciarne soltanto una parte grande esattamente quanto se stesso?" propendo per quest'ultima idea. quindi, nessuno comprenderà mai di essere inferiore a qualcun altro; e se lo penserà, gli sarà invece pari -se non addirittura superiore, quantomeno per umiltà e saggezza.

 

inoltre, ognuno agisce per il proprio comodo; anche chi ha combattuto per il bene dell'umanità -ammesso che qualcuno l'abbia mai fatto- ha combattuto per il bene di UNA PARTE dell'umanità: quella che egli riteneva meritevole di vincere/sopravvivere/esser libera etc. chi nella seconda guerra mondiale ha combattuto per gli alleati, si può ben dire abbia salvato l'umanità.

...davvero si può dire?

ha salvato una parte dell'umanità, quella che gli piaceva di più; l'ha fatto a rischio della sua vita perché il suo cervello ne traeva conforto---->lo faceva per il suo utile. anche i nazisti facevano parte dell'umanità, ma ne ha uccisi a più non posso -per fortuna.

è quindi sbagliato volersi distinguere da chi riteniamo inferiore/pegiore? non credo; si tratta di fare ciò che siamo obbligati a fare per natura animale, ovvero il nostro comodo, preservarci dai pericoli e dalle minacce.

la questione, semmai, è su quale metodo sia meglio adottare per operare questa distinzione, giacché metodi estremi come quelli utilizzati dai nazisti si sono rivelati controproducenti.

quale metodo ci permette di sollevarci dalla massa obnubilata e ottusa senza attirarci contro sventure più grandi di noi?

 

il silenzio complice assieme ai nostri pari. il gioco di sguardi e rimandi sottili tra persone altrettanto sottili. insomma, cullarci in questa consapevolezza e condividerla silenziosissimamente con pochi altri, traendo da questo e piacere e delizia e sapere.

 

 

 

*l'esempio coi nazisti era puramente dimostrativo; un po' estremo, ma così tutti sanno di quello di cui si parla.

**oh, questa è pura speculazione mentale, eh

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@indio

@alvuz

(uso la mention altrimenti i post diventano chilometrici)

riprendo la questione del "e se fossi tu quello inferiore?"

la prima e più ovvia risposta è "io non sono l'inferiore"; mentre la seconda risposta è "può un individuo riconoscere di essere inferiore a qualcosa che gli è superiore? può il suo sguardo abbracciare qualcosa di più grande di sé? oppure può abbracciarne soltanto una parte grande esattamente quanto se stesso?" propendo per quest'ultima idea. quindi, nessuno comprenderà mai di essere inferiore a qualcun altro; e se lo penserà, gli sarà invece pari -se non addirittura superiore, quantomeno per umiltà e saggezza.

inoltre, ognuno agisce per il proprio comodo; anche chi ha combattuto per il bene dell'umanità -ammesso che qualcuno l'abbia mai fatto- ha combattuto per il bene di UNA PARTE dell'umanità: quella che egli riteneva meritevole di vincere/sopravvivere/esser libera etc. chi nella seconda guerra mondiale ha combattuto per gli alleati, si può ben dire abbia salvato l'umanità.

...davvero si può dire?

ha salvato una parte dell'umanità, quella che gli piaceva di più; l'ha fatto a rischio della sua vita perché il suo cervello ne traeva conforto---->lo faceva per il suo utile. anche i nazisti facevano parte dell'umanità, ma ne ha uccisi a più non posso -per fortuna.

è quindi sbagliato volersi distinguere da chi riteniamo inferiore/pegiore? non credo; si tratta di fare ciò che siamo obbligati a fare per natura animale, ovvero il nostro comodo, preservarci dai pericoli e dalle minacce.

la questione, semmai, è su quale metodo sia meglio adottare per operare questa distinzione, giacché metodi estremi come quelli utilizzati dai nazisti si sono rivelati controproducenti.

quale metodo ci permette di sollevarci dalla massa obnubilata e ottusa senza attirarci contro sventure più grandi di noi?

il silenzio complice assieme ai nostri pari. il gioco di sguardi e rimandi sottili tra persone altrettanto sottili. insomma, cullarci in questa consapevolezza e condividerla silenziosissimamente con pochi altri, traendo da questo e piacere e delizia e sapere.

*l'esempio coi nazisti era puramente dimostrativo; un po' estremo, ma così tutti sanno di quello di cui si parla.

**oh, questa è pura speculazione mentale, eh

Uhm tutte elucubrazioni coerenti forse, ma fuorvianti dal fulcro. Non credo che la domanda sia la capacita' di riconoscere qualcosa di piu grande, la risposta e' che lo inventiamo pur di averlo.

Semplicemente riconoscere qualcuno un gradino sopra di se e accettarne le conseguenze qualsiasi siano, perche' decise da lui. E' giusto non essere arbitri del proprio destino?

Per buttare dentro un paragone popolare: Lionel M. e' 1.60, gracile, bruttino, dovrei dar davvero a lui la possibilita', perche' e' bravo, ma con quel fisico c e gente brava e con piu doti atletiche, di diventare uno dei migliori calciatori al mondo quando potrei scegliere tra ragazzi alti, forti, belli e bravi quanto o piu di lui?

Chi mi da il diritto di negargli ogni possibilita'? Io non so se avra' piu volonta degli altri, piu' passione, piu' grinta e mettera' ogni goccia si sudore per provarci dando l anima, non ne ho idea, quindi perche' dargli una possibilita' se altri me hanno piu diritto? Ho questo diritto di impormi a lui?

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Sono un grandissimo sostenitore(si vede?) dello sfigato, l'ultimo, il peggiore, la causa persa, colui che non ha il talento, il dono, colui che mette tutto e perde tutto ma ci crede, ci prova si rialza, da tutto e arriva piu in alto di quello che ha la dote innata, le caratteristiche giuste, i pronostici migliori.

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Sono un grandissimo sostenitore(si vede?) dello sfigato, l'ultimo, il peggiore, la causa persa, colui che non ha il talento, il dono, colui che mette tutto e perde tutto ma ci crede, ci prova si rialza, da tutto e arriva piu in alto di quello che ha la dote innata, le caratteristiche giuste, i pronostici migliori.

tutte le caratteristiche che hai elencato attribuendole allo "sfigato" io le attribuisco al vincente; non per ciò che la società gli riconosce ma per ciò che ha dentro. chiaro, ognuno valuta la grandezza sotto parametri diversi; il successo nella società, anche questo si può misurare in molti modi: ha più successo chi finisce sulle copertine delle riviste attirandosi odio e invidia, o colui il quale è in grado di conseguire ciò che desidera senza che gli altri se ne accorgano?

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Sono un grandissimo sostenitore(si vede?) dello sfigato, l'ultimo, il peggiore, la causa persa, colui che non ha il talento, il dono, colui che mette tutto e perde tutto ma ci crede, ci prova si rialza, da tutto e arriva piu in alto di quello che ha la dote innata, le caratteristiche giuste, i pronostici migliori.

tutte le caratteristiche che hai elencato attribuendole allo "sfigato" io le attribuisco al vincente; non per ciò che la società gli riconosce ma per ciò che ha dentro. chiaro, ognuno valuta la grandezza sotto parametri diversi; il successo nella società, anche questo si può misurare in molti modi: ha più successo chi finisce sulle copertine delle riviste attirandosi odio e invidia, o colui il quale è in grado di conseguire ciò che desidera senza che gli altri se ne accorgano?

Eh no io nn attribuisco queste caratteristiche allo sfigato, ma neanche al vincente...contemplo esistano in una persona, qualcuna le utilizza al massimo valorizzando doti innate, qualcuna le utilizza al massimo nonostante non abbia doti innate...

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Al terzo anno del liceo amavo anch'io la filosofia, adoravo come poche parole potessero esprimere concetti così profondi e riportabili al quotidiano.. al quarto anno tutto iniziò a sembrarmi monotono e ciclico: lo stronzo di turno inventava mille teorie indimostrabili e le giustificava col trascendentale, iperuranio e le considerava un'evoluzione o una demistificazione dei concetti precedenti.

Fatto sta che all'ultima interrogazione prima della maturità: "Prego mi parli di questo fatidico Übermensch", "Zaratustra, boiate varie su Nietzsche, nichilismo, se vuole le faccio pure un esempio", "Prego", prendo e vado a sedermi "Faccio quello che mi pare".

Tutto per dimostrare che ognuno ha doti innate: il vincente sa rischiare e quando gli va bene sa stupire e fare quel passo in più che lo eleva oltre lo sfigato.

Il rischio distingue tutto.

Ora studio ingegneria e non ho più sentito parlare di filosofia.

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