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filosofia


oromisso
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@oromisso, ravviva la discussione (tu e chiunque altro voglia). tra l'altro, da qualche parte avevo letto che lo fai anche per lavoro, no?

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Il ‎23‎/‎12‎/‎2013 at 02:08 , Fero ha scritto:

Il topic giusto per segnalare "La gang del pensiero" di Tibor Fischer. Spasso & Filosofia Sent from outer space

segno!

 

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La gang del pensiero è divertentissimo, testo purtroppo fuori commercio e mai più ristampato da Garzanti.Fischer ha scritto un altro ottimo libro, Sotto il culo della rana, ambientato nell'Ungheria del 1956 e dove c'è la mia invettiva preferita ("Compagni, dobbiamo consolidare i risultati del piano quinquennale" "Ti si consolidasse un cazzo di cavallo nel culo").

Comprensione, benevolenza e amore per i professori di filosofia, anche (e soprattutto) quando appioppano insufficienze :)

 

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Inviata (modificato)

Uno degli aspetti interessanti del leggere filosofia è quello che chiamerei 'la democrazia della complicazione'.
Che vuol dire? Ci arrivo con un piccolo détour.

La filosofia ha la grande capacità di pensare l'assoluto, non già nel senso del trascendente, dell'iperuranico o del religioso, ma nel senso dell'irrelativo, decontestualizzato, senza rapporto: in una parola - astratto.
Si tratta di una pratica al limite della psicosi, ma che ha il grande vantaggio di procedere, per definizione, in modo diverso rispetto alle abitudini del pensiero. Astrarre vuol dire perdere contatto con il modo corrente di percepire i fenomeni, e quindi staccarsi anche da quelle coazioni a ripetere del pensiero che ci lasciano invischiati sempre negli stessi problemi, troppo vicini ad essi per poter trovare le soluzioni adeguate. Astrarre vuol dire dunque perdere contatto con le cose, mantenendo però con esse un filo segreto, quello appunto del ragionamento induttivo, che trova il comune nel diverso, anche se questo comune può parire strano, poco - appunto - comune, ripsetto ai modi immediati di relazionarsi ai fenomeni.
Prendere la distanza dalle cose propria dell'astrazione vuol dire poi non preoccuparsi di cercare soluzioni, ma lasciare che i ragionamenti, con le loro strutture analitiche e sintentiche, induttive e deduttive, abbiano libero gioco, nel loro essere senza finalità. L'assenza di preoccupazione permette di andare altrove, guadagnando così alla fine quella prospettiva diversa sulle cose che permette in certi casi di trovare proprio quella soluzione che, restando attaccati all'immediatezza delle cose, non si sarebbe potuta trovare.

Ora, cosa mai questo metodo psicotico di complicazione avrebbe di democratico? Il fatto di richiedere, per definizione, pochissimo sapere pregresso. Se prendete i testi più importanti e complessi della filosofia, quelli che si scontrano con i meccanismi del puro pensiero, vi accorgerete che richiedono al lettore di avere certo una infinità di pazienza, ma anche pochissime conoscenze pregresse. Essendo testi 'fondatori', essendo testi che trovano la propria via all'astrazione, richiedono spesso di sapere ben poco di storia della filosofia. Aprite in particolare il Parmenide e il Sofista di Platone, la Metafisica di Aristotele, L'Etica di Spinoza, La Monadologia di Leibniz, La Critica della Ragion Pura di Kant, la Scienza della Logica di Hegel e L'Essere e il Nulla di Sartre e vedrete cosa intendo. Certo, troverete passaggi e introduzioni che mettono il testo in relazione al pensiero pregresso e alle polemiche del tempo, ma nel loro essenziale, volendo leggerli, tutto quello che dovrete fare è armarvi di pazienza e follia, addentrarvi in quell'esercizio al pensare 'altrimenti', con il quale divien possibile concepire non tanto realtà alternative, ma alternative reali per il proprio presente.

 

Eccovi un esempio - l'inizio della Scienza della Logica di Hegel. Prendetivi il tempo di perdervi nel suo commovente rigore.

Lib. I, La dottrina dell’essere, Sez. I, Qualità, Cap. I

 

 

A. ESSERE

Essere, puro essere, ‑ senza nessun'altra determinazione. Nella sua indeterminata immediatezza esso è simile soltanto a se stesso, ed anche non dissimile di fronte ad altro; non ha alcuna diversità né dentro di sé, né all'esterno. Con qualche determinazione o contenuto, che fosse diverso in lui, o per cui esso fosse posto come diverso da un altro, l'essere non sarebbe fissato nella sua purezza. Esso è la pura indeterminatezza e il puro vuoto. ‑Nell'essere non v'è nulla da intuire, se qui si può parlar d'intuire, ovvero esso è questo puro, vuoto intuire stesso. Così non vi è nemmeno qualcosa da pensare, ovvero l'essere non è, anche qui, che questo vuoto pensare. L'essere, l'indeterminato Immediato, nel fatto è nulla, né più né meno che nulla.

 

B. NULLA

Nulla, il puro nulla. è semplice simiglianza con sé, completa vuotezza, assenza di determinazione e di contenuto; indistinzione in se stesso. ‑ Per quanto si può qui parlare di un intuire o di un pensare, è differente che s'intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla. Intuire o pensar nulla, ha dunque un significato. I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare, quel medesimo vuoto intuire e pensare ch'era il puro essere. ‑ Il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione, epperò in generale lo stesso, che il puro essere.

l. Unità di essere e nulla.

Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, non passa, ‑ ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere. In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma è anzi ch'essi non son lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili, e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto. La verità dell'essere e del nulla è pertanto questo movimento consistente nell'immediato sparire dell'uno di essi nell'altro: il divenire; movimento in cui l'essere e il nulla son differenti, ma di una differenza, che si è in pari tempo immediatamente risoluta.

 

 

(PS: ciò in risposta alla richiesta di @Sid di ravvivare la discussione)

Modificato da oromisso (visualizza cornologia modifica)
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1 ora fa, oromisso ha scritto:

Uno degli aspetti interessanti del leggere filosofia è quello che chiamerei 'la democrazia della complicazione'.
Che vuol dire? Ci arrivo con un piccolo détour.

La filosofia ha la grande capacità di pensare l'assoluto, non già nel senso del trascendente, dell'iperuranico o del religioso, ma nel senso dell'irrelativo, decontestualizzato, senza rapporto: in una parola - astratto.
Si tratta di una pratica al limite della psicosi, ma che ha il grande vantaggio di procedere, per definizione, in modo diverso rispetto alle abitudini del pensiero. Astrarre vuol dire perdere contatto con il modo corrente di percepire i fenomeni, e quindi staccarsi anche da quelle coazioni a ripetere del pensiero che ci lasciano invischiati sempre negli stessi problemi, troppo vicini ad essi per poter trovare le soluzioni adeguate. Astrarre vuol dire dunque perdere contatto con le cose, mantenendo però con esse un filo segreto, quello appunto del ragionamento induttivo, che trova il comune nel diverso, anche se questo comune può parire strano, poco - appunto - comune, ripsetto ai modi immediati di relazionarsi ai fenomeni.
Prendere la distanza dalle cose propria dell'astrazione vuol dire poi non preoccuparsi di cercare soluzioni, ma lasciare che i ragionamenti, con le loro strutture analitiche e sintentiche, induttive e deduttive, abbiano libero gioco, nel loro essere senza finalità. L'assenza di preoccupazione permette di andare altrove, guadagnando così alla fine quella prospettiva diversa sulle cose che permette in certi casi di trovare proprio quella soluzione che, restando attaccati all'immediatezza delle cose, non si sarebbe potuta trovare.

Ora, cosa mai questo metodo psicotico di complicazione avrebbe di democratico? Il fatto di richiedere, per definizione, pochissimo sapere pregresso. Se prendete i testi più importanti e complessi della filosofia, quelli che si scontrano con i meccanismi del puro pensiero, vi accorgerete che richiedono al lettore di avere certo una infinità di pazienza, ma anche pochissime conoscenze pregresse. Essendo testi 'fondatori', essendo testi che trovano la propria via all'astrazione, richiedono spesso di sapere ben poco di storia della filosofia. Aprite in particolare il Parmenide e il Sofista di Platone, la Metafisica di Aristotele, L'Etica di Spinoza, La Monadologia di Leibniz, La Critica della Ragion Pura di Kant, la Scienza della Logica di Hegel e L'Essere e il Nulla di Sartre e vedrete cosa intendo. Certo, troverete passaggi e introduzioni che mettono il testo in relazione al pensiero pregresso e alle polemiche del tempo, ma nel loro essenziale, volendo leggerli, tutto quello che dovrete fare è armarvi di pazienza e follia, addentrarvi in quell'esercizio al pensare 'altrimenti', con il quale divien possibile concepire non tanto realtà alternative, ma alternative reali per il proprio presente.

 

Eccovi un esempio - l'inizio della Scienza della Logica di Hegel. Prendetivi il tempo di perdervi nel suo commovente rigore.

Lib. I, La dottrina dell’essere, Sez. I, Qualità, Cap. I

 

 

A. ESSERE

Essere, puro essere, ‑ senza nessun'altra determinazione. Nella sua indeterminata immediatezza esso è simile soltanto a se stesso, ed anche non dissimile di fronte ad altro; non ha alcuna diversità né dentro di sé, né all'esterno. Con qualche determinazione o contenuto, che fosse diverso in lui, o per cui esso fosse posto come diverso da un altro, l'essere non sarebbe fissato nella sua purezza. Esso è la pura indeterminatezza e il puro vuoto. ‑Nell'essere non v'è nulla da intuire, se qui si può parlar d'intuire, ovvero esso è questo puro, vuoto intuire stesso. Così non vi è nemmeno qualcosa da pensare, ovvero l'essere non è, anche qui, che questo vuoto pensare. L'essere, l'indeterminato Immediato, nel fatto è nulla, né più né meno che nulla.

 

B. NULLA

Nulla, il puro nulla. è semplice simiglianza con sé, completa vuotezza, assenza di determinazione e di contenuto; indistinzione in se stesso. ‑ Per quanto si può qui parlare di un intuire o di un pensare, è differente che s'intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla. Intuire o pensar nulla, ha dunque un significato. I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare, quel medesimo vuoto intuire e pensare ch'era il puro essere. ‑ Il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione, epperò in generale lo stesso, che il puro essere.

l. Unità di essere e nulla.

Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. il vero non è né l'essere né il nulla, ma che l'essere, non passa, ‑ ma è passato, nel nulla, e il nulla nell'essere. In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, la loro indistinzione, ma è anzi ch'essi non son lo stesso, ch'essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili, e che immediatamente ciascuno di essi sparisce nel suo opposto. La verità dell'essere e del nulla è pertanto questo movimento consistente nell'immediato sparire dell'uno di essi nell'altro: il divenire; movimento in cui l'essere e il nulla son differenti, ma di una differenza, che si è in pari tempo immediatamente risoluta.

 

 

(PS: ciò in risposta alla richiesta di @Sid di ravvivare la discussione)

Se letto molto distrattamente e velocemente lo si può associare ad una supercazzola di livello superiore o a qualche testo Zen.

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1 minuto fa, lelegab ha scritto:

Se letto molto distrattamente e velocemente lo si può associare ad una supercazzola di livello superiore o a qualche testo Zen.

Non c'è niente di livello superiore alla supercazzola.

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1 ora fa, oromisso ha scritto:

Non c'è niente di livello superiore alla supercazzola.

per me la discussione, che non ho letto, può finire qui.

@PELT

che fo chiudo? 

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10 minuti fa, riky76 ha scritto:

per me la discussione, che non ho letto, può finire qui.

@PELT

che fo chiudo? 

per quanto io rimanga favorevole alla superiorità dell'Omo sulla donna e per la predominanza del flangia alta, lo smaccato geocaratterialismo che mi contraddistingue e il mio essere interiore , scevro da minimalismo connesso al corrente patchwork politico, mi forza verso l'uso di un arcaicismo verbale, desueto ai più ma che rende bene l'idea del corrente, e personale, zeitgeist, ovvero:

 

A B B O Z Z A T E L A

#tuppochiudere

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3 ore fa, riky76 ha scritto:

per me la discussione, che non ho letto, può finire qui.

@PELT

che fo chiudo? 

per quanto io rimanga favorevole alla superiorità dell'Omo sulla donna e per la predominanza del flangia alta, lo smaccato geocaratterialismo che mi contraddistingue e il mio essere interiore , scevro da minimalismo connesso al corrente patchwork politico, mi forza verso l'uso di un arcaicismo verbale, desueto ai più ma che rende bene l'idea del corrente, e personale, zeitgeist, ovvero:

 

A B B O Z Z A T E L A

#tuppochiudere

 

 

m'aspettavo un intervento del @NappiaGufo

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4 ore fa, PELT ha scritto:

per quanto io rimanga favorevole alla superiorità dell'Omo sulla donna e per la predominanza del flangia alta, lo smaccato geocaratterialismo che mi contraddistingue e il mio essere interiore , scevro da minimalismo connesso al corrente patchwork politico, mi forza verso l'uso di un arcaicismo verbale, desueto ai più ma che rende bene l'idea del corrente, e personale, zeitgeist, ovvero:

 

A B B O Z Z A T E L A

#tuppochiudere

 

 

m'aspettavo un intervento del @NappiaGufo

OGNI PAROLA! ♥️ 

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17 ore fa, riky76 ha scritto:

per me la discussione, che non ho letto, può finire qui.

@PELT

che fo chiudo? 

pìù o meno la stessa domanda che Ponzio Pilato pose all'imperatore di Roma, quando un tizio filosofeggiava troppo per le vie di Gerusalemme.....:):):):):):):):) 

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Inviata (modificato)

cari @riky76, @NappiaGufo, @PELT, @Romafix

un chiarimento su quello che ho scritto, perchè mi pare l'abbiate preso come uno sfoggio di eloquenza fine a se stesso (insomma, parafrasando Bisio: rileggendovi me parete risentiti).

Dietro richiesta di ravvivare la discussione del thread, ho dato una scorsa ai post precedenti, e mi sono reso conto che molti si lamentavano di come il linguaggio filosofico fosse ostico, di come i professori a scuola ti facessero passare la voglia di leggere filosofia e facessero del loro meglio per farti sentire a disagio. Il senso del mio post era quello di suggerire che i testi difficili, anzichè essere affrontatoli prendendoli in pillole sciroppate da manuali divulgativi, o anzichè prenderserli il testa con cattiveria da professori frustrati, possono essere affrontati direttamente da tutti, entrando a pesce nella loro complicazione. Nella prima parte cerco di raccontare come certi testi erroneamente considerati 'per pochi eletti' possono in realtà essere letti da tutti, cerco di raccontare come e perchè il loro 'delirare', a mio parere, possa offrire una prospettiva diversa sulle cose, e come, fondando ogni volta un linguaggio proprio, non richiedono, per essere letti, alcuna preparazione specifica, ma solo una mostruosa pazienza e una sconfinata curiosità. Nella seconda riporto un esempio di quel che dico: si tratta di un passaggio complesso e psicotico, ma anche a mio parere geniale, un testo che risulta egualmente complicato per chi macina filosofia da sempre e per chi vi si accosta per la prima volta, e che, per essere compreso, o piuttosto aperto, domanda solo una grande pazienza, la stessa che serve di fronte a un calcolo matematico, a un quadro o a un brano musicale di una corente artistica che non conosciamo, o a un poema di un autore ignoto. Non che con questo la frustrazione di fronte alla complicazione del testo passi del tutto: questo brano, come ogni testo importante di filosofia, più viene sviscerato più domande apre. Per questo dico che si tratta più di 'aprirlo', che di 'comprenderlo'. Si tratta, direi, di 'svolgerlo', di notarne, scriverne e anche estenderne, leggendolo, la mappa delle complicazioni.

Mi dispiace che l'abbiate presa come una volontà di esibire sapere, la mia era piuttosto una proposta di condivisione, che rispondeva - o almeno così pensavo - a una domanda apparsa in questo thread.
Se vi va, provate a ridare una scorsa a quello che ho scritto, e soprattutto a quello che ha scritto il buon Hegel, altrimenti no, il sole torna a splendere, e, come diceva un amato torinese, 'ci sono delle biciclette da inforcare'.
 

Modificato da oromisso (visualizza cornologia modifica)
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6 minuti fa, oromisso ha scritto:

cari @riky76, @NappiaGufo, @PELT, @Romafix

un chiarimento su quello che ho scritto, perchè mi pare l'abbiate preso come uno sfoggio di eloquenza fine a se stesso (insomma, parafrasando Bisio: rileggendovi me parete risentiti).

Dietro richiesta di ravvivare la discussione del thread, ho dato una scorsa ai post precedenti, e mi sono reso conto che molti si lamentavano di come il linguaggio filosofico fosse ostico, di come i professori a scuola ti facessero passare la voglia di leggere filosofia e facessero del loro meglio per farti sentire a disagio. Il senso del mio post era quello di suggerire che i testi difficili, anzichè essere affrontatoli prendendoli in pillole sciroppate da manuali divulgativi, o anzichè prenderserli il testa con cattiveria da professori frustrati, possono essere affrontati direttamente da tutti, entrando a pesce nella loro complicazione. Nella prima parte cerco di raccontare come certi testi erroneamente considerati 'per pochi eletti' possono in realtà essere letti da tutti, cerco di raccontare come e perchè il loro 'delirare', a mio parere, possa offrire una prospettiva diversa sulle cose, e come, fondando ogni volta un linguaggio proprio, non richiedono, per essere letti, alcuna preparazione specifica, ma solo una mostruosa pazienza e una sconfinata curiosità. Nella seconda riporto un esempio di quel che dico: si tratta di un passaggio complesso e psicotico, ma anche a mio parere geniale, un testo che risulta egualmente complicato per chi macina filosofia da sempre e per chi vi si accosta per la prima volta, e che, per essere compreso, o piuttosto aperto, domanda solo una grande pazienza, la stessa che serve di fronte a un calcolo matematico, a un quadro o a un brano musicale di una corente artistica che non conosciamo, o a un poema di un autore ignoto. Non che con questo la frustrazione di fronte alla complicazione del testo passi del tutto: questo brano, come ogni testo importante di filosofia, più viene sviscerato più domande apre. Per questo dico che si tratta più di 'aprirlo', che di 'comprenderlo'. Si tratta, direi, di 'svolgerlo', di notarne, scriverne e anche estenderne, leggendolo, la mappa delle complicazioni.

Mi dispiace che l'abbiate presa come una volontà di esibire sapere, la mia era piuttosto una proposta di condivisione, che rispondeva - o almeno così pensavo - a una domanda apparsa in questo thread.
Se vi va, provate a ridare una scorsa a quello che ho scritto, e soprattutto a quello che ha scritto il buon Hegel, altrimenti no, il sole torna a splendere, e, come diceva un amato torinese, 'ci sono delle biciclette da inforcare'.
 

Lo sai che non lo leggerò tutto, vero?

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1 minuto fa, NappiaGufo ha scritto:

Lo sai che non lo leggerò tutto, vero?

Ovvio, come dico nell'ultima frase.

comunque mi parrebbe cosa buona e saggia o lasciare che uno scriva quel che gli pare, senza intervenire, oppure pigliare pure allegramente per il culo, ma almeno dopo aver letto.

Diciamo che prendere per il culo qualcuno solo perchè un post è lungo non mi sembra all'altezza di chi si vuole grammarnazi (funzione della quale ti sono sempre stato segretamente grato).

Modificato da oromisso (visualizza cornologia modifica)
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