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Ma cazzo!...


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Ma a Varese non si muove nessuno?! Tre richieste d'aiuto tra mail e PM ricevute da ieri, ma che sono, Superman?! Siamo il Comitato Velodromo Vigorelli, non l'Esercito della salvezza ciclistica!...

 

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Sparisce un velodromo, Varese è contenta così

 

C’era una volta un velodromo…  Varese l’aveva intitolato a Luigi Ganna, il Luisin di Induno, primo vincitore del Giro d’Italia. Una storia iniziata nel 1935, con l’epoca d’oro tra gli anni Sessanta e Settanta, quando la pista fu ricostruita e predisposta per grandi eventi, come il campionato del mondo del 1971.

Un punto di riferimento per generazioni di ciclisti varesini, i “nipoti” di Alfredo Binda. Mille immagini e ricordi, dal record di Pettenella con la sua ora in surplace, al titolo Mondiale del quartetto formato da Borgognoni, Algeri, Morabito e Bazzan. Da Moser a braccia alzate, in maglia iridata, al Chiappucci più felice di sempre, primo nella corsa più amata, la Tre Valli Varesine.
Pettenella contro Bianchetto, in surplace al campionato italiano 1968

Pettenella contro Bianchetto, in surplace al campionato italiano 1968

Oggi quel velodromo si ferma: stop, game over. Il Comune di Varese lo chiude, per inagibilità: la pista, lasciata totalmente senza manutenzione, si è deteriorata. E ora tutti allargano le braccia, rassegnati: in un’epoca in cui, in tutto il mondo un velodromo è una struttura vitale per l’attività giovanile, per lo sviluppo e la crescita di un vivaio, in Italia siamo costretti ad alzare bandiera bianca. In tutto il mondo, un velodromo è un tesoro dal punto di vista anche sociale, in Italia è un peso, se disturba sua maestà il calcio.

Non è una storia di portata locale, questa: è una vicenda emblematica, tipica italiana. Naturalmente frustrante. Permettetemi di non alzare le braccia, ma di essere giustificatamente infuriato: più che da varesino, da sostenitore del ciclismo.
Il "vecchio" Luisin Ganna a cui è intitolato il velodromo di Varese

Il “vecchio” Luisin Ganna a cui è intitolato il velodromo di Varese

Varese e la sua provincia, che quando conviene diventa “territorio di ciclismo”, soprattutto sulla bocca di politici e autorità ciclistiche, autorità tutte pronte in prima fila a farsi fotografare a ogni premiazione: quando, invece, la questione è più delicata, allora si dice “pazienza” e tutto si risolve con una pacca sulla spalla. Tipica presa per i fondelli italica, questa… Ma a Varese, in quel velodromo, gioca la serie B: ci scusi sua maestà il calcio, se il ciclismo crea disagi. Il calcio chiede spazio, lo chiede da anni: ci provarono già nei primi anni Sessanta, a buttar giù il velodromo. Lo stadio è da rifare, le partite non si vedono abbastanza bene. Se c’è di mezzo il calcio, allora che il ciclismo s’inchini rassegnato. Curioso che a Varese, a tutti vada bene così: la stampa locale parteggia da tempo per tirare giù il velodromo, la città di Varese se ne frega, l’amministrazione non vede l’ora di liquidare la pratica, la Federazione ciclistica pure, salvo poi dirsi dispiaciuta e impotente.

Un velodromo nel 2014, a che servirà? In Inghilterra, in Australia, in Francia sono tutti fessi, nell’insistere con il ciclismo su pista, evidentemente. Quella di Varese sarebbe un anello anche “didattico”, nel senso che tecnicamente non è particolarmente insidioso e andrebbe benissimo per l’attività giovanile: in un’epoca, in cui le strade sono una giungla impossibile per i ciclisti, in un’epoca in cui le famiglie impediscono ai figli di fare ciclismo, per paura che finiscano, un giorno, sotto un camion… In quest’epoca, un velodromo sarebbe vitale per un ciclismo che pensa al proprio futuro.

L’Italia è il paese dei quaranta velodromi: solo il Giappone ne ha di più, ma per via del keirin, che laggiù è un’attività che genera un’economia dalle scommesse. Quaranta velodromi, ma pochissimi pistard, salvo rare eccezioni: le belle realtà esistono anche da noi, a Montichiari e a Fiorenzuola, per esempio. A Varese, terra di ciclismo e di ciclisti, il velodromo non serve: non è una priorità se la vita della pista e la sua manutenzione erano nelle mani di pochi e instancabili volontari. Volontari che non erano quelli che vedevi a pontificare sul ciclismo in mille occasioni pubbliche, a farsi fotografare accanto ai politici. Sono migliaia i giovani ciclisti che in tanti anni sono passati di lì: e, in quest’epoca in cui si predica il ciclismo delle multidiscipline, sarebbero potuti essere molti di più, attorno all’anello…

Con il calcio che preme da tempo, a Varese si è adottata la strategia più semplice: il velodromo è stato lasciato a se stesso, così da accelerare la pratica, ovvero, l’inagibilità. Bel ringraziamento di Varese, al ciclismo: lo stesso ciclismo che nel 2008, faceva comodo. Molto comodo.

Nel 2008, sembrava che quella città fosse solo ciclismo, con i Mondiali da organizzare: un evento dalle dimensioni paradossali, pareva un’Olimpiade. Si mobilitarono i big dell’edilizia e onorevoli di tutte le gerarchie, protezione civile compresa. Era il Mondiale in cui si asfaltò un ippodromo per farci il traguardo. Ma non c’era già il velodromo, serviva l’ippodromo? Da incompetente fui trattato, da incompetente verrò trattato anche stavolta.

Il Mondiale 2008 doveva lanciare Varese come grande capitale del ciclismo: furono spesi, per tutto il giochino, ben 71,4 milioni di euro, con un buco di 2 milioni. Di questi 71 milioni, 54 furono spesi per costruire tangenziali, 4,7 milioni per opere sul percorso, 2,4 milioni per le spese del comitato organizzatore, 6,6 per la costruzione di un parcheggi. Un minimo ritorno allo sviluppo ciclistico della provincia di Varese non si è visto. Investimenti per il ciclismo? Zero. Un euro, un solo euro, speso per sistemare il velodromo e ridare ossigeno a quei volontari? Assolutamente no. Varese, nei fatti, non si dimostra per niente terra di ciclismo.

Varese cancella il suo velodromo, gli espertoni già rilanciano con la solita solfa: “i velodromi oggi vanno fatti più piccoli, ci vuole un impianto coperto di 250 metri”. Come se tutte le regioni e le provincie italiane dovessero organizzare i Campionati del mondo…  Una città capoluogo di una provincia ciclistica cancella un velodromo e il ciclismo non s’indigna, anzi la Federazione fa spallucce, come una comparsa qualsiasi, come se non fosse affar suo. Tutto tace. E la “terra di ciclismo” prepara il nuovo teatrino: signori e signore va in scena l’Expo. La corsa ai finanziamenti di ogni tipo è già partita, son già tutti sui pedali.

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Ma a Varese non si muove nessuno?! Tre richieste d'aiuto tra mail e PM ricevute da ieri, ma che sono, Superman?! Siamo il Comitato Velodromo Vigorelli, non l'Esercito della salvezza ciclistica!...

 

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Sparisce un velodromo, Varese è contenta così

 

C’era una volta un velodromo…  Varese l’aveva intitolato a Luigi Ganna, il Luisin di Induno, primo vincitore del Giro d’Italia. Una storia iniziata nel 1935, con l’epoca d’oro tra gli anni Sessanta e Settanta, quando la pista fu ricostruita e predisposta per grandi eventi, come il campionato del mondo del 1971.

Un punto di riferimento per generazioni di ciclisti varesini, i “nipoti” di Alfredo Binda. Mille immagini e ricordi, dal record di Pettenella con la sua ora in surplace, al titolo Mondiale del quartetto formato da Borgognoni, Algeri, Morabito e Bazzan. Da Moser a braccia alzate, in maglia iridata, al Chiappucci più felice di sempre, primo nella corsa più amata, la Tre Valli Varesine.

Pettenella contro Bianchetto, in surplace al campionato italiano 1968

Pettenella contro Bianchetto, in surplace al campionato italiano 1968

Oggi quel velodromo si ferma: stop, game over. Il Comune di Varese lo chiude, per inagibilità: la pista, lasciata totalmente senza manutenzione, si è deteriorata. E ora tutti allargano le braccia, rassegnati: in un’epoca in cui, in tutto il mondo un velodromo è una struttura vitale per l’attività giovanile, per lo sviluppo e la crescita di un vivaio, in Italia siamo costretti ad alzare bandiera bianca. In tutto il mondo, un velodromo è un tesoro dal punto di vista anche sociale, in Italia è un peso, se disturba sua maestà il calcio.

Non è una storia di portata locale, questa: è una vicenda emblematica, tipica italiana. Naturalmente frustrante. Permettetemi di non alzare le braccia, ma di essere giustificatamente infuriato: più che da varesino, da sostenitore del ciclismo.

Il "vecchio" Luisin Ganna a cui è intitolato il velodromo di Varese

Il “vecchio” Luisin Ganna a cui è intitolato il velodromo di Varese

Varese e la sua provincia, che quando conviene diventa “territorio di ciclismo”, soprattutto sulla bocca di politici e autorità ciclistiche, autorità tutte pronte in prima fila a farsi fotografare a ogni premiazione: quando, invece, la questione è più delicata, allora si dice “pazienza” e tutto si risolve con una pacca sulla spalla. Tipica presa per i fondelli italica, questa… Ma a Varese, in quel velodromo, gioca la serie B: ci scusi sua maestà il calcio, se il ciclismo crea disagi. Il calcio chiede spazio, lo chiede da anni: ci provarono già nei primi anni Sessanta, a buttar giù il velodromo. Lo stadio è da rifare, le partite non si vedono abbastanza bene. Se c’è di mezzo il calcio, allora che il ciclismo s’inchini rassegnato. Curioso che a Varese, a tutti vada bene così: la stampa locale parteggia da tempo per tirare giù il velodromo, la città di Varese se ne frega, l’amministrazione non vede l’ora di liquidare la pratica, la Federazione ciclistica pure, salvo poi dirsi dispiaciuta e impotente.

Un velodromo nel 2014, a che servirà? In Inghilterra, in Australia, in Francia sono tutti fessi, nell’insistere con il ciclismo su pista, evidentemente. Quella di Varese sarebbe un anello anche “didattico”, nel senso che tecnicamente non è particolarmente insidioso e andrebbe benissimo per l’attività giovanile: in un’epoca, in cui le strade sono una giungla impossibile per i ciclisti, in un’epoca in cui le famiglie impediscono ai figli di fare ciclismo, per paura che finiscano, un giorno, sotto un camion… In quest’epoca, un velodromo sarebbe vitale per un ciclismo che pensa al proprio futuro.

L’Italia è il paese dei quaranta velodromi: solo il Giappone ne ha di più, ma per via del keirin, che laggiù è un’attività che genera un’economia dalle scommesse. Quaranta velodromi, ma pochissimi pistard, salvo rare eccezioni: le belle realtà esistono anche da noi, a Montichiari e a Fiorenzuola, per esempio. A Varese, terra di ciclismo e di ciclisti, il velodromo non serve: non è una priorità se la vita della pista e la sua manutenzione erano nelle mani di pochi e instancabili volontari. Volontari che non erano quelli che vedevi a pontificare sul ciclismo in mille occasioni pubbliche, a farsi fotografare accanto ai politici. Sono migliaia i giovani ciclisti che in tanti anni sono passati di lì: e, in quest’epoca in cui si predica il ciclismo delle multidiscipline, sarebbero potuti essere molti di più, attorno all’anello…

Con il calcio che preme da tempo, a Varese si è adottata la strategia più semplice: il velodromo è stato lasciato a se stesso, così da accelerare la pratica, ovvero, l’inagibilità. Bel ringraziamento di Varese, al ciclismo: lo stesso ciclismo che nel 2008, faceva comodo. Molto comodo.

Nel 2008, sembrava che quella città fosse solo ciclismo, con i Mondiali da organizzare: un evento dalle dimensioni paradossali, pareva un’Olimpiade. Si mobilitarono i big dell’edilizia e onorevoli di tutte le gerarchie, protezione civile compresa. Era il Mondiale in cui si asfaltò un ippodromo per farci il traguardo. Ma non c’era già il velodromo, serviva l’ippodromo? Da incompetente fui trattato, da incompetente verrò trattato anche stavolta.

Il Mondiale 2008 doveva lanciare Varese come grande capitale del ciclismo: furono spesi, per tutto il giochino, ben 71,4 milioni di euro, con un buco di 2 milioni. Di questi 71 milioni, 54 furono spesi per costruire tangenziali, 4,7 milioni per opere sul percorso, 2,4 milioni per le spese del comitato organizzatore, 6,6 per la costruzione di un parcheggi. Un minimo ritorno allo sviluppo ciclistico della provincia di Varese non si è visto. Investimenti per il ciclismo? Zero. Un euro, un solo euro, speso per sistemare il velodromo e ridare ossigeno a quei volontari? Assolutamente no. Varese, nei fatti, non si dimostra per niente terra di ciclismo.

Varese cancella il suo velodromo, gli espertoni già rilanciano con la solita solfa: “i velodromi oggi vanno fatti più piccoli, ci vuole un impianto coperto di 250 metri”. Come se tutte le regioni e le provincie italiane dovessero organizzare i Campionati del mondo…  Una città capoluogo di una provincia ciclistica cancella un velodromo e il ciclismo non s’indigna, anzi la Federazione fa spallucce, come una comparsa qualsiasi, come se non fosse affar suo. Tutto tace. E la “terra di ciclismo” prepara il nuovo teatrino: signori e signore va in scena l’Expo. La corsa ai finanziamenti di ogni tipo è già partita, son già tutti sui pedali.

 

 

Paolo Villaggio e Luciano Salce (due che l'italia la conoscono e la conoscevano bene) secondo te perché in tanti film hanno messo in scena la rivolta dei dipendenti solo quando non hanno potuto vedere la partita di pallone?

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L'italia e la sua amministrazione, schiava della cieca stupidità.

L'italia e il suo popolo, schiavo di perbenismo e ignavia.

L'italia, patria di geni e genialità, schiavi del non vedere piu in la del proprio naso di chi dovrebbe valorizzarli.

L'italia, che si costerna, si indigna, si impegna e poi getta la spugna con gran dignità.

 

Italia, mamma mia.

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scandaloso,

abbiamo una storia ed una cultura ciclistica invidiata in tutto il mondo, eppure.....

 

ragazzi emigrate se potete, mettete il muso fuori dall'Italia, e' un paese che non fa niente per voi!

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